Maurizio Ferraris
Quelli che dicono: che male c’è?
Attraverso il "Che male c´è?" il critico viene trasformato in imputato per il solo fatto di criticare, cioè, si noti bene, perché esprime le proprie opinioni.
Poi hanno inizio due movimenti contraddittori ma estremamente efficaci. Dopo aver sostenuto che nel compiere una certa azione non c´è niente di male, si giura solennemente e pubblicamente, magari sulla testa di parenti innocenti, di non aver mai compiuto quell´azione o di aver detto la tal cosa. E quindi ci si impegna a dimostrare che, semmai, quella azione (o qualcosa di anche solo vagamente simile, il pubblico non spacca il capello in quattro), è stata compiuta proprio dal criticone moralista, dal sepolcro imbiancato, che deve solo vergognarsi, perché – e qui emerge l´unilateralità della depenalizzazione – nel suo caso il male c´è, eccome. Nel meccanismo del "Che male c´è?" interviene un dispositivo che colpisce al cuore una categoria fondamentale dell´Illuminismo, l´opinione pubblica, la quale – lo ricordava Habermas in Storia e critica dell´opinione pubblica (1962) – nasce proprio come spazio in cui la critica del potere vale come istanza di controllo e di garanzia dei diritti degli individui. Già Habermas descriveva la trasformazione della opinione pubblica nel mondo mediatico, da spazio di discussione a spazio di manipolazione delle opinioni da parte dei detentori dei massmedia. Ma il "Che male c´è?" definisce un terzo stadio, e cioè il fatto che ogni sopravvivenza di opinione pubblica critica viene svuotata apriori attraverso la categoria di "moralismo". Così, il "Che male c´è?" si presenta come un efficacissimo strumento di repressione del dissenso, e raggiunge la sua perfezione quando la critica viene squalificata a pettegolezzo, ossia, come si dice in inglese, forse sperando che qualcuno non capisca, a "gossip". Anche qui c´è un meccanismo interessante. Da una parte, infatti, la personalizzazione carismatica del potere fa sì che tutte le attenzioni si concentrino sul leader, e questo per una precisa scelta politica caratteristica del populismo mediatico. E in questo senso le grandi decisioni della politica hanno luogo sui settimanali scandalistici, cioè per l´appunto sui settimanali di gossip. Ma il vantaggio non è semplicemente la creazione e la manutenzione del consenso. Perché la spettacolarizzazione carismatica deve essere un flusso di sottomissione incondizionata, e ogni critica viene declassata a "gossip". A questo punto si può soltanto applaudire, tutto il resto è gossip e "tritacarne mediatico", anche le decisioni di politica estera. Sebbene sia dunque con ogni evidenza...
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